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Storia


Una fontana a due zampilli, ed altri ancora che per caduta fuoriescono dalla vasca; è questo il simbolo del legame secolare con l’acqua che identifica il paese di Fiumata. Un segno premonitore del cambiamento a cui questo antico borgo era destinato.

Arrivato a noi grazie ai registri catastali preonciari e onciari del Settecento, il simbolo è rintracciabile ancora oggi presso l’archivio di stato dell’Aquila, città da cui l’intero territorio del Cicolano, la valle ed il paese dipendevano amministrativamente. Antichi documenti mostrano che nel passato il paese costeggiava il fiume Salto in prossimità della chiesa di Sant’Angelo, crocevia obbligato per tutti i valligiani, la cui storia si intreccia indissolubilmente con  le vicende del piccolo borgo. Per secoli la zona, ad eccezione del restante territorio, fu amministrata dai monaci dell’Abbazia di Farfa, poi di quelli di San Salvatore Maggiore, nel cui feudo il villaggio era ancora compreso nel 1685.

La chiesa di Sant’Angelo, realizzata utilizzando materiale di spoglio derivato da una villa romana, intorno alla quale si è sviluppato il borgo di Fiumata, era considerata una delle più antiche del territorio, risalente secondo alcuni studiosi al V-VI secolo. L’ipotesi è avvalorata dal fatto che l’evangelizzazione del Cicolano risale agli albori dell’avvento cristiano.

Secondo il martirologio Romano, infatti, fu addirittura un discepolo di San Paolo, un vescovo martire di nome Marco, a compiere quest’opera nella zona.

Nonostante le violente incursioni operate dai saraceni già a partire dal IX secolo, i monaci farfensi esercitarono per lungo tempo la cura parrocchiale di Sant’Angelo tramite presbiteri dipendenti dall’abbazia, come attesta una carta del 923.Dal documento risulta che la chiesa era stata incendiata dai saraceni anni prima, notizia rintracciabile più tardi in uno scritto del 967, che attesta la conferma del gualdo dell’abbaziada parte di Ottone I.

La stessa fonte ci informa che esisteva in quel tempo anche una scuola monastica e un consistente insediamento benedettino, di cui oggi resta purtroppo soltanto una chiesa diroccata, intitolata alla Madonna del Basilisco o Basilisco, con annesso un fabbricato, anticamente adibito a ricovero dei monaci. In parte restaurato ad abitazione privata, ubicato su di un colle, detto “della Madonna” , l’insieme è situato a circa un chilometro dal nuovo centro abitato. Il nome di Fiumata, Terra Flumata compare però per la prima volta solo nel XIII secolo quando dall’Abbazia di Farfa, passò a far parte dei beni dell’Abbazia di San Salvatore Maggiore.

Nel 1561 l’assenza quasi continua del rettore costrinse la popolazione, per avere i sacramenti, a recarsi presso l’abitato di Mareri; questo disagio si potrasse per lunghi anni.

Risulta quindi chiara la ragione per cui, nella metà del 1700, sotto papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lambertini, considerato il “buon uomo” , sempre attento e premuroso alle esigenze dei fedeli, la chiesa di Fiumata fu riunita alla diocesi di Rieti. Le visite pastorali del 1805 e 1828 indicano il paese, al tempo con 176 abitanti, appartenente al feudo del casato Sciarpa-Barberini.

Il territorio, possedimento della potente famiglia romana, sottoposto alla giurisdizione del vicariato di Marmosedio, comprendeva anche i centri di Petrella, Staffoli, Mareri, Colle della Sponga, Sant’Ippolito, Vallececa, Girgenti, Fagge, Collemazzolino, Sant’Agapito, Casapaoli, Casadelforno, Mercato, Villette.

Negli anni seguenti, il paese di Fiumata s’ingrandì lentamente, raddoppiando il numero dei suoi abitanti, che nel  1897 raggiungevano le 350 unità.

Il 27 Gennaio del 1927 con la creazione della nuova provincia di Rieti, il borgo passò, come il resto del Cicolano, dalla provincia dell’Aquila a quella di Rieti.

Successivamente, nel 1941, nell’ambito della politica idroelettrica che il fascismo avviò per condurre l’Italia verso l’autosufficienza energetica, venne realizzato, con lo sbarramento del fiume Salto, un grande bacino artificiale. Il paese di Fiumata, trovandosi a ridosso della valle, fu quasi completamente sommerso dalle acque e successivamente ricostruito in posizione più elevata, sul versante sud-ovest del lago.

La creazione dell’invaso artificiale del lago, rende oggi difficile la ricostruzione della storia di questo antico borgo: infatti unitamente al vecchio paese sono state sommerse tutte quelle testimonianze storico-architettoniche che avrebbero aiutato a comprenderne il passato.

Oggi l’abitato è collegato ai comuni di Pescorocchiano, Varco Sabino e Marcetelli, situati sul versante opposto del bacino, dal ponte Pacifico, un imponente quanto elegante manufatto lungo oltre cinquecento metri.

Il patrono del paese è San Michele Arcangelo, che fino a qualche anno fa veniva festeggiato l’8 Maggio. In quella giornata di festa, prima della processione avveniva una vera e propria asta pubblica, retaggio della locale tradizione contadina.

Gli uomini che offrivano la somma più alta di denaro, si garantivano la possibilità di sfilare per le vie del paese con la statua del Santo, mentre le donne facevano la stessa cosa per la statua della Madonna. Il trasporto delle statue offriva la possibilità di dimostrare devozione e ringraziare il patrono e la Madonna per la protezione assicurata alla comunità e alla propria famiglia durante l’anno, garantendo altresì, onore e prestigio all’offerente. Il denaro raccolto veniva utilizzato per la manutenzione della chiesa parrocchiale e per l’organizzazione della successiva
festa in onore di San Michele Arcangelo.

Fiumata ha subito in questi ultimi anni una forte emigrazione e nel periodo invernale, il numero dei residenti non supera le cento unità. In estate viceversa si calcolano più di duemila presenze, tra gli abitanti trasferitisi in città che fanno ritorno per le vacanze, attratti dal silenzio e dalla tranquillità che il borgo offre, e i numerosi turisti, anche stranieri, che vengono ad ammirare il gioco di colori di questa meravigliosa natura.


                                                                                                                            

            Tratto da “Scenari” scritto da Domenico Di Cesare